Fiori di roccia, di Emilia Guidotti – La presentazione

Pubblicato dalle edizioni Effigi e presentato una prima volta a Castell’Azzara domenica 16 luglio 2023, il prezioso volume che raccoglie i racconti di Emilia Guidotti è ora disponibile anche on line! Ma se volete una dedica firmata dall’autrice, acquistatelo stampato e andate a trovare Emilia al Rigo… sarà felice di accogliervi!

Ecco l’emozionata presentazione di Emilia, alla presenza di un numeroso pubblico di amici, familiari, abitanti del territorio e oltre…

Vi ringrazio per la presenza, per le belle parole che avete dedicate a Fiori di Roccia, un lavoro che non sarebbe stato possibile senza i primi timidi debutti sulle pagine della Voce dell’Orso. Quando ho consegnato a Marzio il primo racconto: “Lo scialle della Ciuccia”, è stato come consegnargli l’anima, mi sono sentiva svuotare. E’ un Orso, Marzio, che apprezzo per il suo costante impegno culturale, di ricerca e cura della memoria collettiva, sul solco, anche se con distinguo di stile e modalità, dell’opera miliare del grande G.B. Vicarelli, inoltre per l’amore verso questa comunità.

Un grazie a Letizia e Mariella. Con le loro pennellate da artiste, di sognatrici e un po’ visionarie, com’è bello che sia, attraverso PennaCultura, lavorano, lavoriamo, come possibile, per far emergere la creatività, l’arte sommersa, la bellezza di questi posti e, più in generale, la cultura. Mi piacerebbe che questo impegno fosse pensato come valore aggiunto e mai in competizione con l’impegno insostituibile di altri. Ogni formica porta un chicco, rifornendo i granai della memoria, i saperi della madre terra. 

Non ho più l’energia, la lucidità, la freschezza, la voce di un tempo e il mio contributo è relativo. Chiedo venia. 

Le ragazze del Rigo, così ci siamo pensate anche se con qualche ruga, mi hanno stimolata e affiancata quasi quotidianamente, come amorevoli levatrici per il parto del mio libro e ora nel renderlo pubblico.

A Mario, nella sua presentazione, delicato e lucido, una carezza, un abbraccio, con audacia un bacio. Un grazie per avermi infilata come un gioiello nella collana Narrazioni, per la pazienza, la cura da editore, ma, soprattutto, per la vicinanza ideale, di amicizia e  parentale, che ha dimostrato anche nel percorso di pubblicazione. Da novizia e negata per le nuove tecnologie spero di non averlo fatto patire troppo. Sappiamo come al settore della piccola editoria, anche di pregio come la sua, sia difficile muoversi in un mercato sempre più complesso e globale. Senza il loro lavoro tanta buona letteratura  resterebbe sconosciuta.

I personaggi, i luoghi, i sentimenti, le emozioni che attraversano le pagine di questo libro, rivisitate in chiave fantastica, a volte ironica e poetica, come si concedono gli scrittori ladri di storie, prendono spunto e vigore, dal vissuto, parafrasando Rossana Rossanda, di una ragazza del secolo scorso. 

Una ragazza come tante, fiorite fra queste rocce come i campacioli e i bucaneve al primo sole di fine inverno. Nata fra lenzuola di casa che odoravano di  ranno, di sapone fatto con i resti del maiale. Che giocava fra i massi e gli sterpi con scarpe di due numeri più grandi dei propri piedi e ferrate, perché non si consumassero, agile come capretta in mezzo ai vicoli e le rocce della montagna.

Ragazza, insieme ad altre, venuta al mondo nell’immediato dopoguerra, fuori dal buio del ventennio fascista, quando ancora si respirava l’odore di sangue della strage di Niccioleta. Bambina ho assorbito tanto di quel dolore, intorno, nel vicinato, che mi è rimasto  nell’anima. Volevamo velocemente salvare la normalità dall’acido dell’odio e ci siamo volutamente distratti. Lo abbiamo piombato, compresso, quasi a voler dimenticare, come per esorcizzare il male banale che ha caratterizzato quel mezzo secolo. Ma non abbiamo consegnato all’oblio quei pezzi di storia, affinché ciò non debba accadere mai più.

Vite, le nostre, di montanare, di figlie di contadini poveri, di un sottoproletariato tristemente destinato all’emigrazione. Fortunate se figlie di minatori, comunque figlie di donne forti, capaci di grande creatività da opporre, nel tentativo di renderla meno dura, alla sberla della miseria. Gareggiavano per portare, quasi fosse un banchetto di gala, al pranzo dell’aia, le migliori pietanze, fatte con povere cose cresciute fra i sassi di montagna: ne nascevano squisitezze rimaste alla base della nostra tradizione alimentare.

Il mio modo di raccontare  è “fare memoria viva” osservando la realtà da sotto la spianatoia, dal basso, dagli ultimi gradini sociali, come dice Cristina.

Per mia formazione, lontana da biblioteche e archivi, non tento sistemazioni datate da ricercatore storico e non ho pretese accademiche, e nemmeno la perfezione del letterato, ho disseminato qua e là scetoni e sbrodeghezzi e diffuso refusi. A questi ultimi ho dedicato anche un versetto:

Ma che noia ‘ste refusi

Sono tanti e assai diffusi

Ti sfuggono sotto gli occhi

Come fossero pidocchi.

Poi li scopri all’improvviso 

e diventi rosso in viso

ma ormai sono stampati 

e in mille pagine imprigionati.

Le mie sono storie individuali e collettive, con la lente sulla quotidianità dei semplici, incrociate con la mia vita:

-di bambina intrisa in un mondo arcaico, in una cultura bucolica; 

-di adolescente con la voglia di scappare dalla sua famiglia, dal suo mondo, stretto e spesso feroce, da se stessa, sentendosi troppo fragile per affrontare la vita;

-di donna responsabile, per tradizione e per scelta di sinistra, compagna, ghiozza e sessantottina. 

Di quel passato, con pennellate impressioniste ne dipingo uno spaccato, che diventa anche realistico, di memoria, nel tentativo di cucirlo ai tempi della storia perché se non sappiamo da dove veniamo navighiamo al buio nel presente senza scorgere un futuro.

Così ho pensato a un regalo duraturo per mia figlia, per i miei nipoti, per tutta la comunità, come ha fatto mio padre  lasciandoci il suo “…e giù botte…”. Spero di riuscire a regalarlo a voi tutti, attraverso una qualche forma di diffusione, di cui non ho idea… A piccole dosi sta uscendo ogni tanto sempre sulla Voce dell’Orso. Vi chiedo aiuto…per capire come fare…

Sono felice di aver attraversato questo tempo, di esserne stata protagonista attiva, come tante/i, di averne conservato la carica ideale, l’onestà di pensiero, la voglia di partecipazione, come pratica indispensabile alla democrazia. Di aver elaborato il dolore per le perdite, per una collezione di sconfitte, di delusioni, liberandomi dai dogmi, identificando difetti e storture, gli abusi e i soprusi. Ci siamo crocifissi oltre l’impossibile con i chiodi della critica e dell’autocritica, fatti a pezzi con l’accetta dei personalismi, distraendoci e allontanandoci dai problemi reali della gente. Abbiamo ingoiato amarezze anche nell’oggi, ma c’è bisogno costante della nostra forza ideale e morale, del nostro impegno per salvare queste comunità, per conservare l’equilibrio, la bellezza naturalistica e umana di queste terre ed arginare lo spopolamento. Per mio conto sosterrò, senza faziosità, progetti e azioni che muovano in questa direzione.

Resto orgogliosa della mia identità, del mio percorso, del mio sentire e, come il pastore del racconto “Questa montagna non è sua”, penso di aver speso bene la mia vita.

Non è solo orgoglio personale, ma di genere e generazionale e appartenenza ideale. Quando incrocio lo sguardo degli onesti e di chi ha condiviso con me tante emozioni, impegno e attese, e resistito alle bufere della vita e sa ancora accogliere, vedere, ascoltare, progettare, sperare e sognare, mi rigenero, mi commuovo anche.

Le mie storie, lo ripeto, sono semplici, narrano di questa comunità, Lina, Rosa, Pino,  Emma, di altri che troverete su queste pagine, tutti emblematici personaggi del nostro territorio, gente radicata, tignosa quasi, tenace, forte, pulita e autentica, esposta ai venti e agli abbandoni, qualche volta apparentemente dura, per l’asprezza della vita, ma sorprendentemente bella, appunto come fiori di roccia.


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